“Legame di sangue”, sceneggiatura per un cortometraggio

Una sceneggiatura per un cortometraggio.
Otto pagine per otto minuti.
Ambientazione World of Darkness, commissionato dall’associazione ludico culturale Camarilla Italia.
I protagonisti sono vampiri. Una piccola finestra su un mondo noir che affascina e appassiona l’essere umano. Il vampiro pone nell’uomo il tarlo del dubbio: sono io poi così distante da quell’altro da me?
Citando Sallustio: “queste cose non furono mai, ma sono sempre”.

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Nella suggestiva cornice della periferia di Matera (Lucania) iniziano le riprese.

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Andando via portiamo con noi questa fetta di paradiso.
Fino al prossimo ciak!


“Legame di sangue”

Regia Alessandro Mancini.
Aiuto regia Esra Nazli Bekarslan e Federico Moschetti.
Idea Antonio Ferraro
Sceneggiatura Rosanna Spinazzola.
Montaggio Andrea Mei.
Attore protagonista Michele Milesi.
Attore non protagonista Luca Canova.

 
 
 
 

Salon du Livre de Montreuil, Paris.

Potrei dire che ho atteso a scrivere questo post per far decantare le mie impressioni, per farne aprire il bouquet come il vino buono, ma non lo farò.
Ho atteso perché non ho avuto il tempo di scriverlo prima.
Ho partecipato alla ventisettesima edizione del Salone del Libro e della presse Jeunesse di Montreuil a Parigi dal 30 novembre al 5 dicembre, con la mia cartellina sotto un braccio e tante speranze sotto l’altro.

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Ho condiviso questa bella e significativa esperienza con Laura Iorio,  Michela Burzo e Ilaria Ruggeri, illustratrici di indubbio talento: ho scritto tre storie per il pubblico “jeunesse”, e con loro ho incontrato direttori artistici delle più grandi e prestigiose case editrici francesi.

L’esperienza in fiera è stata foriera di insegnamenti: come ad esempio l’indirizzo opportuno del vestiario in fiera (solo cotone, o si rischia la disidratazione); il corretto atteggiamento da tenere con gli addetti al settore; la pazienza necessaria a lavorare in un ambiente in cui regnano come principi indiscussi centinaia di bambini scatenati e una “orrenda falange di pubescenti”.

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Scherzi a parte, la stanchezza è stata enorme, sia per le energie fisiche impiegate, sia per quelle emotive e mentali. A volte è stato esaltante e l’energia di ritorno mi ripagava delle difficoltà da superare, altre è stato necessario invece attingere alle mie riserve per stringere i denti e continuare a credere nei miei progetti.

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Michela alla fine della prima giornata di fiera

La fiera era dedicata al Circo, e l’atmosfera che ne derivava invogliava a creare. Gironzolare, tra un incontro e l’altro, in mezzo gli stand, osservare gli illustratori autografare e dedicare i propri libri, vedere i volti dei bambini entusiasti di questa o quella storia mi ha messo addosso una enorme voglia di scrivere. Se avessi potuto, mi sarei seduta a un angolino e avrei trascorso tutto il tempo a inventare nuovi mondi per quelle menti fertili. E l’ho anche fatto, buttando giù un incipit di una nuova storia (che faccio fatica a leggere per quanto è scarabocchiato), mentre attendevo di essere chiamata a un incontro con il direttore artistico di turno.

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La Senna e io

Ho presentato delle storie difficili: perché ne ho abbastanza della ennesima rivisitazione di Alice e delle principesse e dei cavalieri. Perché credo nella importanza di trasmettere messaggi di spessore, affinché il territorio intonso che sono i bambini e i ragazzi sia reso fertile. Perché credo fortemente che le storie vivano in coloro che le leggono, e meglio sia che vivano storie buone piuttosto che banalità e conformismo.

parigi_9Non so se ciò che abbiamo presentato sia piaciuto: forse si, forse no. Gli editori devono vendere, e danno al pubblico ciò che il pubblico chiede… ma non ne sono tanto sicura. Loro stessi innescano trend in ribasso, foraggiando bisogni superflui, all’altare dei quali i bambini imparano a sacrificare la propria vera essenza. Spero che qualche editore punti sulla novità e sulla qualità. Proprio qualche giorno fa pensavo che quando avevo dieci anni lessi David Copperfield, Un Canto di Natale, Anna Karenina, Guerra e Pace, I miserabili e tutta una serie di libri che amo molto tuttora e che mi hanno formata come persona, e che di “facile” non avevano nulla, e non posso (e non voglio) credere di averlo fatto solamente io, né di essere stata l’ultima a farlo. Vedremo.

Alla fine, un salto all’atelier in cui vive e lavora Laura insieme a Roberto RicciMatteo Simonacci e Simone Puccio: un saluto ai ragazzi italiani che, con grande professionalità e altrettanto grande talento, dedicano la propria vita al faticoso mondo dell’Arte inseguendo un sogno.

parigi_10Una dedica speciale per Urban, l’ultimo fumetto di Roberto Ricci, e poi via all’aereoporto e a Roma.

 

“La leggenda dell’Amica Ancestrale”, una fiaba illustrata.

Un’ anteprima, un progetto, una fiaba.
La leggenda dell’Amica Ancestrale” è una storia che parla di come le donne smarriscano il senso originario della propria bellezza e femminilità  per adattarsi a modelli prestabiliti – da altri – ed errati.
Affinchè le bambine, nel loro futuro di donne, facciano risplendere la loro magnifica unicità.

Due illustrazioni realizzate da Laura Iorio

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“Storia di una scintilla”, una fiaba illustrata.

Ecco l’anteprima di un progetto che sta nascendo proprio in questi freddi e bagnati giorni (insieme a molti altri). Una fiaba illustrata. Affinché le menti dei bambini ricordino ciò che già sanno.

“Storia di una Scintilla”, illustrata da MICHELA BURZO è un racconto che parla di una mancanza: la perdita di uno o di entrambi i genitori e il percorso che una bambina fa, attraverso gli Spiriti degli antenati, per ritrovarli. Ovvero per sempre nel proprio cuore.

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La casa del quartiere Coppedè

Un concorso letterario, indetto dal Comune di Roma.
Un premio dedicato al quartiere Coppedè, “unico esempio a Roma dell’eclettismo dell’architetto e scultore fiorentino Gino Coppedè”.

Chi  conosce Roma non può ignorare questo quartiere che combina in maniera originale stili architettonici tanto diversi. Liberty, Art Decò, Gotico e Barocco, fusi con l’arte medievale, rinascimentale e dell’antica Grecia. Il risultato è conturbante, spiazzante, ammaliante.
Una zona franca nella frenesia caotica dell’Urbe.
Per queste creazioni surreali ho creato una storia brevissima.
Il titolo è La casa del quartiere Coppedè.

Uno dei ragazzi che ha valutato il mio racconto per la selezione si è venuto a complimentare.
Mi ha detto di averlo letto di notte e durante la lettura si è dovuto alzare per accendere la luce. La storia gli ha provocato una inquietudine sottile che gli è rimasta attaccata addosso per ore.
Quale migliore complimento poteva mai essermi fatto?

Qui c’è il racconto completo, con il titolo cambiato. Chissà perché.

Deve essere piaciuto, a giudicare dal risultato.

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SINOSSI

Gualtiero, il protagonista, abita il quartiere nell’immediato dopoguerra. Soggiogato da quelle visioni di calce e cemento cade vittima delle sue stesse illusioni e, semplicemente, perde il senno. Vediamo il quartiere attraverso i suoi sensi, i suoi sentimenti. Angoscia, paura, inquietudine. Sente che il quartiere lo ha condannato a una esistenza diversa, limitata. Lo imprigiona, gli toglie l’aria, la libertà. Ma è davvero così? In un “mondo esterno” in cui la “malta grezza del materialismo” si è infiltrata ovunque, chi è davvero il folle? Chi vive imprigionato e conduce una esistenza limitata? Non lui. 

Qualche foto della premiazione.

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Rivista letteraria “Origine”

Era il 2002, mi pare. Il cuore della mia formazione universitaria.
Nella sovraffollata Casa dello Studente romana di via De Lollis, dentro una stanza larga poco più di tre metri per tre, un gruppo di ragazzi ragionava di letteratura.
Incontravo  tutte le sere (o quasi), Michele Infante (che divenne poi il Direttore Responsabile), l’ottimo Paolo Vecchio, il talentuoso Davide L. Malesi, il redattore Roberto Balzano e pochi altri. Erano gli albori. Eravamo pochi.  Uno sparuto  manipolo di appassionati della carta.

Ricordo bene il fascio di luce della lampada che avvolgeva quei corpi giovani, illuminando volti con barbe morbide, rade. Poco più che adolescenti, poco meno di uomini. In quegli spazi angusti, seduti sul pavimento perché non c’erano sufficienti sedie, fondammo la rivista letteraria Origine.
Questa qui: Rivista letteraria Origine

Ne sentivamo l’esigenza. La spinta creatrice soverchiava le nostre difficoltà, le ristrettezze, i limiti contro i quali sbattevamo tutti i giorni. Dall’editoriale di quel numero 0 di Michele Infante rileggo: «questo progetto nasce dall’esigenza di una fruizione diversa dell’arte e di svecchiamento di un sistema editoriale che vede la pubblicazione sempre di soliti noti, scrittori o intellettuali […] L’attuale panorama letterario non permette a giovani autori l’accesso alle stampe. La nostra scommessa è ritagliarci uno spazio capace di accogliere idee e voci “fresche”, di far nascere interesse, stimolare discussioni critiche

Una scommessa di carta in un’epoca in cui il virtuale cominciava la sua forsennata corsa verso il futuro. Certamente follia, ma sacra.
La rivista fu fondata, con molti sforzi da parte di tutti, riuscendo a essere pubblicata per Natale. Portai a casa dai miei quel numero 0, fiera del risultato ottenuto.
Rileggendolo ora, a distanza di quasi dieci anni, il mio racconto mi pare brutto, scritto male, esposto peggio, senza trama, senza mordente. Eppure mi commuove. Per la passione, la speranza, il fervore quasi religioso per quel progetto.

Cosa successe poi?

Mi persi io, forse mi persero loro, ricordo poco. Qualche screzio, gli esami che pendevano come una ghigliottina pronta a scattare sulla mia borsa di studio. Accadde che la trama si sfilacciò e non fu rammendata.

Eppure la parola Origine evoca ancora, in me, quell’autunno lontano in cui la passione per la letteratura mi unì a uno sparuto manipolo di giovani e inesperti eroi.

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La scrittura per me

Apro questo blog con un paio di mie considerazioni, frutto di pensieri fugaci che mi hanno afferrato questa mattina.
Mi chiedevo cosa fosse la scrittura per me.
Credo che esista un pregiudizio molto comune. Quello per cui tutti siano capaci di scrivere, che tutti possano farlo agevolmente a patto di conoscere l’alfabeto.
Credo sia sbagliato.
Conoscere le regole della grammatica, della sintassi e dell’ortografia non significa essere scrittori. Almeno quanto avere gli occhi non significhi essere esperti d’arte.
Essere scrittori è un dover essere scrittori: per me, è sentire tirannicamente  la necessità di usare questo mezzo, e questo solo, per comunicare ciò che è essenziale,  agli altri e, soprattutto, a se stessi.  Essenziale nel senso etimologico del termine:  l’essere di una cosa, ciò che ne costituisce la sostanza, la vera radice. Non ciò che appare, ma ciò che è.
È desiderare ardentemente, senza scampo.
Per quanto mi riguarda è indagare, attraverso il verbo, per apprendere cose di sé che ancora non si sanno. E’ bramare di cristallizzare il Logos nella illusione di poterlo meglio comprendere.
Scrivere è ascoltare.
Ecco. Ci sono. Per me scrivere è ascoltare, prestare attenzione, rimanere in silenzio e ricevere. Solamente poi, restituire.
Per cui, secondo me, se non è disposto ad ascoltare, chiunque potrebbe imparare a scrivere, ma non sarebbe mai uno scrittore.
Almeno, non lo sarebbe come lo intendo io.