La quarta parola del mago: TACERE, e la creatività.
[Suggerimento musicale per la lettura: H. Zimmer_A hard teacher]
Ed eccoci giunti all’ultima delle quattro parole del mago. Dopo sapere, osare e volere, è il momento di TACERE.
Secondo Eliphas Levi tacere è “una discrezione che nulla può inquinare o corrompere”.
Credo che la linea di divisione tra “realtà” e “immaginazione” sia più sottile di quanto siamo disposti ad ammettere.
Il nostro inconscio non fa alcuna differenza tra realizzare e dire di aver realizzato.
Se diciamo, parliamo e spieghiamo i nostri progetti, per il nostro inconscio sarà come averli già realizzati. Che gli altri ci critichino o ci lodino, per la nostra essenza più profonda sarà come aver già partorito la nostra creazione, e poco importerà se sarà solo un embrione: avremo comunque avuto la nostra ricompensa.
Sedersi a un tavolo, tutti i giorni alla stessa ora, far “propria tutta la noia”, come scriveva Auden nella sua poesia “Il romanziere”(1), e cercare di dare un senso compiuto alla nostra creatura sarà ancora più arduo e monotono: chi vuole scrivere due volte lo stesso romanzo?
Inoltre, mostrare prematuramente un progetto a qualcuno, compresi coloro che ci vogliono bene, equivale a piazzare un bambino su una bici quando è ancora incapace di camminare.
Qualsiasi critica, seppur in buona fede, è capace di distruggere le nostre migliori buone intenzioni.
In “Vivere per raccontarla”, Gabriel Garcia Marquez, riferendosi a un consiglio che gli diede Ramón Gómez de la Serna, scrive:
“Ma quello che seguii sempre alla lettera fu la frase con cui quel pomeriggio si congedò da me:
«la ringrazio per la sua deferenza, e in cambio le darò un consiglio: non mostri mai a nessuno la versione provvisoria di quello che sta scrivendo».”(2)
I giudizi altrui, la loro disapprovazione, il biasimo, anche la loro opinione più gentile, ci fanno cadere preda del vittimismo e alimentano la mancanza di fiducia in noi stessi. Usare le critiche come alibi ci deresponsabilizza. Ci autocommiseriamo, sabotandoci. Questo atteggiamento va sconfitto, colpendolo proprio laddove è più forte: nel bisogno che abbiamo di essere compresi, accettati, amati.
Essere discreti significa non esporre il fianco. Non contaminare la creazione, che è un atto sacro, con desideri narcisistici. In fin dei conti, faccio ciò che faccio non per pavoneggiarmi, ma perché mi è indispensabile farlo.
Perciò SAPERE, e spingersi oltre il conosciuto.
OSARE, avendo il coraggio di desiderare.
VOLERE, con disciplina, costanza, impegno.
TACERE, per proteggere la propria visione finché non sarà forte abbastanza da affrontare il mondo.
Ecco cos’è, la magia. Così facile, così difficile.
Un esercizio utile è, alla sera, ripensare alla nostra giornata. Con chi abbiamo parlato dei nostri progetti, delle nostre aspirazioni? cosa avremmo potuto evitare di dire? lo abbiamo fatto per puro desiderio narcisistico o per altro? e cosa è questo “altro”? cosa ha provocato, in noi, il fatto di averne parlato?
(1)Appuntato al talento come a un’uniforme, /il grado dei poeti è noto a tutti; /stupirci come un temporale possono, /morire tanto giovani, per anni viver soli.//Possono scatenarsi come ussari: ma lui deve/ liberarsi del suo dono puerile e apprendere /a esser complesso e semplice, a esser uno /che nessuno si sogna di seguire.//Per realizzare il più facile dei suoi voti,/ deve infatti far sua tutta la noia,/ prono agli ovvi lamenti dell’ amore, tra i Giusti//esser giusto, tra i Luridi essere pure lurido,/ e, se può, nel suo debole Io deve soffrire/ senza intendere tutti i misfatti dell’Uomo.
(2) Gabriel García Márquez, Vivere per raccontarla, Edizioni Mondadori (Scrittori Italiani e Stranieri). Traduzione di Angelo Morino.
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