Di NaNoWriMo e Guardiani della Soglia
[Suggerimento musicale per la lettura. The Hobbit: Misty Mountain Cold]
Sono reduce da una “competizione contro me stessa” che mi ha in parte sfiancata e in parte entusiasmata. Spesso le due cose accadevano contemporaneamente.
Ho partecipato al NaNoWriMo (e vinto: qui sotto ne fornisco la prova), che sta per “National Novel Writing Month”.
Si tratta di una sfida a cui partecipano centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo.
In breve, si devono scrivere 50.000 parole di un romanzo in un mese.
Non si tratta di finirlo, o di scrivere un capolavoro: soltanto 50.000 parole di una informe bozza che potrebbe essere la larva da cui far sviluppare, con l’aggiunta di ulteriori parole e un paio di riscritture (facciamo anche tre o quattro), una farfalla.
Cosa si vince, se si arriva alla fine?
Quello che i monaci zen cercano di ottenere in anni di meditazione e preghiere: una vittoria su se stessi.
A parte sconti per applicazioni di scrittura, acquisto libri, eccetera, infatti, il contest ha l’unico obiettivo di dimostrare a noi stessi che possiamo farcela.
C’è un bel gruppo di sostegno su facebook e un colorato forum sul sito, dove altri NaNos come me si sono sfogati nei momenti di difficoltà, dubbio e stanchezza, ricevendo l’incoraggiamento degli altri concorrenti in un bell’ esempio di sportività tra scrittori.
Perché, diciamocelo, a scoraggiarci sono buoni tutti.
E i più bravi a farlo, siamo noi stessi.
Ho terminato la mia personale sfida, contro ogni mia previsione, con dieci giorni di anticipo. Nonostante gli spostamenti in lungo e in largo per l’Italia e le difficoltà oggettive che ho dovuto affrontare in questo freddo mese di Novembre, ce l’ho fatta.
L’ho fatto. Ne vado fiera.
Non importa se quello che ho scritto è illeggibile. E’ soltanto una prima stesura. Citando Hemingway “la prima bozza di qualsiasi cosa è merda”.
Concordo.
Scrivere è, infatti, riscrivere.
In questo mese di scrittura forsennata, ho notato un incremento delle mie ansie proporzionato al numero di parole buttate giù.
E più le combattevo, più loro aumentavano.
E più scrivevo, più loro aumentavano.
Soprattutto di sera.
Un paio di notti, confesso, non mi hanno fatto chiudere occhio.
Finché, una notte in cui mi tormentavano con accanita ferocia, ho avuto una illuminazione.
Che sciocca a non capirlo prima.
Subito dopo, sono crollata in un profondo sonno ristoratore.
Quello che ho capito è che più forza mettono loro nell’accanirsi contro di me, più io so di essere sulla strada giusta. E l’ho capito grazie a Joseph Campbell.
Le mie ansie avevano la forma di un Guardiano della Soglia.
Nel suo brillante lavoro “L’eroe dai mille volti”[1], Campbell sostiene che gli archetipi individuati da Jung (di cui era grande stimatore) condividono la struttura dei miti (delle leggende e delle fiabe) di ogni cultura del mondo.
E’ il monomito, come egli lo definisce, in cui ogni personaggio che ricalca un archetipo cambia nome e aspetto, ma mai funzione (un lavoro che fa il paio con “Morfologia della fiaba” e “Le radici storiche dei racconti di magia” del formalista russo Vladimir Propp, di cui ho parlato brevemente qui).
Il Guardiano della Soglia è uno degli archetipi.
Come il nome stesso indica, difende un passaggio oltre il quale c’è esattamente ciò che noi desideriamo.
La sua caratteristica principale è quella di essere alimentato dalle paure di chi lo affronta: più abbiamo paura di lui, più diventa forte.
Come spezzare la catena?
Rudolf Steiner, filosofo e fondatore dell’Antroposofia, ce ne parla nel suo “La Scienza Occulta nelle sue linee generali“[2], dove dice che Il Guardiano viene superato solo quando si riesce a fargli assumere una forma più amichevole.
I Guardiani non sono lì per terrorizzarci senza un motivo. Come dicevo sopra, infatti, ogni archetipo ha una precisa funzione.
Essi ci proteggono da noi stessi, dai nostri fallimenti.
Julia Cameron ne “La via dell’artista”[3], lo chiama brillantemente “Il Censore”.
Il Censore ci sussurra frasi meravigliose quando meno ce lo aspettiamo, quando siamo in fila alla cassa del supermercato, laviamo i pavimenti o siamo sotto la doccia.
A me, sempre prima di addormentarmi.
Borbotta con la sua vocina: “Lo chiami scrivere quello? Dai, dimmi che è uno scherzo, su. Non conosci nemmeno la punteggiatura. Se non ce l’hai fatta fino ad adesso non ce la farai mai. Non sai nemmeno come si formatta un testo. Ehi, e la chiami trama quella schifezza immonda che hai buttato giù? Informe come un’anguilla. A nessuno interesserà ciò che scrivi. E poi, sei troppo vecchia per questa roba, non si campa d’aria. Dammi retta, getta la spugna.”
E la cosa interessante del Guardiano/Censore, è che lo fa per il nostro bene!
Sissignore: cerca di distruggerci per proteggerci. Interviene tutte quelle volte che usciamo dalla nostra comfort zone, quando ci dedichiamo alle cose che contano davvero per noi, che ci fanno sentire vivi, ma mettono a repentaglio la stabilità e l’equilibrio di ciò che abbiamo raggiunto.
Il Censore è inserito nell’area sinistra del cervello, quella dedicata alla sopravvivenza. E’ un residuo della parte incaricata di decidere se fosse sicuro per noi lasciare la foresta e andare fuori. Il nostro Guardiano/Censore confonde ogni nostro idea creativa con una bestia pericolosa. Le uniche cose che gli piacciono sono quelle che ha già visto prima. E per molte volte.
Cose sicure. La routine. La regolarità.
Il divano accogliente, la canottiera lana fuori e cotone dentro, il garage sotto casa, il caffè delle otto e il tè delle cinque.
Ascoltate il vostro Censore e vi dirà che qualsiasi cosa originale (e nuova) è sbagliata. E pericolosa. E che vi conviene non farla, se non volete rovinare la vostra vita.
Ma ciò è falso.
Qualsiasi cosa ci dica, non è mai, mai, mai, e ripeto mai (l’ho già detto, mai?) la verità.
Ma come neutralizzarlo? Come zittirlo? Si può sconfiggerlo?
Ho buone notizie. Si può fare.
Ovviamente ci vuole molta pratica, e una buona dose di pazienza.
E’ come un braccio di ferro tra uno che si allena da trent’ anni (o quant’è l’età della costruzione della nostra personalità) e uno che è appena nato (il nostro desiderio creativo, a cui non è mai stato dato sufficiente spazio).
Quando crediamo di averlo annichilito ecco che, per non essere riconosciuto, ritorna con un’altra forma.
Non è la scrittura il problema, dice, è quella lavatrice che non può proprio attendere. Ma cos’era quell’articolo scontato su Amazon che hai intravisto in un annuncio pubblicitario due mesi fa? E lavati quei capelli, per l’amor del cielo. Devi. Hai chiamato tua madre/fidanzato/amica del cuore? Si aspettano che tu lo faccia. Vuoi deluderli? Sei un’ingrata. E l’amico delle scuole elementari, eh? da quant’è che non lo senti? Perché non lo chiami adesso?
E se tutto ciò non dovesse bastare ecco che va a ripescare nella memoria un vecchio ricordo doloroso. Un rimpianto. O un senso di colpa (in verità, questi ultimi sono i suoi preferiti) per qualcosa accaduto cinque, dieci, quindici anni fa. Sentiti in colpa, dice. Soffri. Piangi. Fatti salire l’ansia ed espia. Adesso.
Tutto, purché tu metta giù quella maledetta penna!
È davvero un infame.
La Cameron suggerisce, tra i vari esercizi, di farne una caricatura da appendere di fronte alla nostra scrivania.
Un disegno da guardare ogni volta che apre quella bocca immonda per tirarci secchiate d’acqua fredda.
Ricordo che all’epoca, quando leggevo “La via dell’artista”, proprio sotto al disegno del mio personale Censore (che ha un dente solo e i brufoli sul naso), scrissi a mano “Non fai paura proprio a nessuno”.
In effetti, a posteriori, vi dirò: mi fa un po’ pena (e cercherò di ricordarmelo stasera quando, prima che io riesca a prendere sonno, mi sussurrerà le sue solite, gentili frasi di incoraggiamento).
Il Guardiano della Soglia è lì per verificare quanto, davvero, teniamo a qualcosa.
Il nostro desiderio è forte abbastanza da fornirci ciò che ci occorre per affrontare il Drago?
E non per ucciderlo (seppur brontolone, è sempre un nostro alleato, dopotutto), ma per rassicurarlo.
Ci mette alla prova: sapremo superarla?
Sonda la nostra volontà e, in un certo senso, la rinforza.
E più noi ci addentriamo nel reame dell’incerto, più lui tenta di impedirci di passare.
È un nemico solo all’apparenza.
Il Guardiano della Soglia, siamo noi. O meglio: è una parte di noi, i nostri demoni interiori. Le paure, le ferite, le debolezze.
Abbiatene cura, ha soltanto paura. Lo fa per proteggerci.
Joseph Campbelli dice che questa resistenza è una fonte d’energia. Il Guardiano va incorporato. E’ un’arma nelle nostre mani.
Un aspetto di noi con cui dobbiamo confrontarci e fare pace, una volta per tutte.
Se l’eroe ha la peggio col Guardiano, dice lo studioso, è soltanto perché non ha saputo abbandonare le sue illusioni.
Ed è al Guardiano che si riferisce Natalie Goldberg in “Scrivere Zen”[4] quando dice:
“Tenete la mano in movimento, non cancellate, non preoccupatevi dell’ortografia, della punteggiatura e della grammatica, perdete il controllo. Non pensate, non fatevi invischiare dalla logica, puntate alla giugulare. Se scrivendo viene fuori qualcosa che vi fa paura o vi fa sentire esposti, tuffatevici dentro. Probabilmente è carico di energia.”
Ma addomesticare un Drago non è cosa da tutti. Ci vuole tenacia, perseveranza, pazienza e una buona dose di follia.
E vi dirò di più: il divertimento è tutto lì.
Cosa mi ha dato dunque questo NaNoWriMo?
Oltre alla forza di lanciare qualche bistecca farcita di sedativo al Guardiano della Soglia così da permettermi di superare i cancelli senza timore, mi ha ricordato che, di qualsiasi cosa si tratti, se non costa niente farla, allora non vale la pena farla.
Buona sfida a tutti!
[1] Campbell J., L’Eroe dai mille volti, ed. Guanda (Marzo, 2000)
[2] Steiner R., La scienza occulta, Ed. Antroposofica Editrice (Aprile, 2005)
[3] Cameron G., La via dell’artista, ed. Longanesi (Gennaio, 1998)
[4] Goldberg N., Scrivere zen, ed. Astrolabio Ubaldini, (1987)
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