Apro questo blog con un paio di mie considerazioni, frutto di pensieri fugaci che mi hanno afferrato questa mattina.
Mi chiedevo cosa fosse la scrittura per me.
Credo che esista un pregiudizio molto comune. Quello per cui tutti siano capaci di scrivere, che tutti possano farlo agevolmente a patto di conoscere l’alfabeto.
Credo sia sbagliato.
Conoscere le regole della grammatica, della sintassi e dell’ortografia non significa essere scrittori. Almeno quanto avere gli occhi non significhi essere esperti d’arte.
Essere scrittori è un dover essere scrittori: per me, è sentire tirannicamente la necessità di usare questo mezzo, e questo solo, per comunicare ciò che è essenziale, agli altri e, soprattutto, a se stessi. Essenziale nel senso etimologico del termine: l’essere di una cosa, ciò che ne costituisce la sostanza, la vera radice. Non ciò che appare, ma ciò che è.
È desiderare ardentemente, senza scampo.
Per quanto mi riguarda è indagare, attraverso il verbo, per apprendere cose di sé che ancora non si sanno. E’ bramare di cristallizzare il Logos nella illusione di poterlo meglio comprendere.
Scrivere è ascoltare.
Ecco. Ci sono. Per me scrivere è ascoltare, prestare attenzione, rimanere in silenzio e ricevere. Solamente poi, restituire.
Per cui, secondo me, se non è disposto ad ascoltare, chiunque potrebbe imparare a scrivere, ma non sarebbe mai uno scrittore.
Almeno, non lo sarebbe come lo intendo io.